skip to Main Content

10 dicembre 1920. Strage di Canneto (Rieti)

di Irene Salvatori

Circa ore 11,30 nella frazione di Canneto (a quanto mi riferisce sommariamente il Sottoprefetto), arma Reali Carabinieri imbattutisi con circa 200 contadini scioperanti, quasi tutti armati, che in massa giravano campi, imponendo cessazione del lavoro, ingiunse a costoro di sciogliersi. Questi risposero con sassate e colpi di arma da fuoco, onde i Reali Carabinieri visti feriti Tenente e due loro compagni” … ” fecero uso loro moschetti. I morti tra i contadini … Erano tre”… Oggi Sottoprefetto mi riferisce essere sei.  [In realtà 11 n.d.r.]

Questa fu la versione ufficiale del Prefetto di Perugia, alla cui competenza venne inviata la prima discussione della causa della strage.

Siamo nel 1920, a Canneto, nella provincia di Rieti istituita nel 1927 da Mussolini nell’ambito del riordino delle Circoscrizioni provinciali. Prima ancora, dal 1924, la città era inserita nell’amministrazione territoriale di Roma ma, all’epoca dei fatti, Rieti e il suo circondario ricadevano sotto la provincia di Perugia. Ecco perché il primo processo dei fatti accaduti il 10 dicembre fu di competenza del capoluogo umbro.

La strage va inserita nel periodo storico compreso fra il 1919 e il 1920  nel quale vi furono una serie di lotte operaie e contadine,  definito Biennio Rosso. Alla fine della Prima guerra mondiale, in Italia vi fu una rilevante crisi economica. Il reddito nazionale del novembre 1918 era sceso in modo vertiginoso, e rimase, fino a tutto il 1923,  al di sotto del livello precedente il conflitto. Il tenore di vita delle classi popolari, e dei contadini in particolare (chiamati in massa alle armi), nel corso della guerra era nettamente peggiorato. La classe operaia e contadina usò dunque l’arma dello sciopero, nella richiesta di salari migliori, adeguati alla crescente inflazione. Alle richieste economiche si aggiunsero manifestazioni di carattere politico appoggiate dal Partito Socialista. Il movimento fascista era ancora agli albori ma stava diffondendosi e rafforzandosi, appoggiato dagli industriali e dai latifondisti. Giolitti favorì le trattative fra gli industriali e sindacati e indusse i primi a concedere ai lavoratori i miglioramenti di salario richiesti. Così, all’inizio di ottobre del 1920, il capo del governo riuscì a far accettare un compromesso tra le parti sociali, rifiutando di far intervenire la polizia contro gli scioperandi.

In Sabina la raccolta delle olive andava da ottobre a marzo. Gli uomini ricevevano una paga di 6-7 lire al giorno, mentre le donne venivano pagate con 1 litro di olio ogni 60 kg di olive raccolte. Quell’anno la stagione fu scarsa, con poche speranze di raccogliere il necessario per un compenso minimo. Le piante scarseggiavano e i 60 chili di olive sembravano una chimera. Si aprì dunque una vertenza della Lega dei Braccianti alla quale seguirono una serie di scioperi e manifestazioni, senza gravi incidenti, che si conclusero con un comizio il 5 dicembre presieduto dal segretario della Camera del Lavoro di Terni, Silvestro Motta.

Il 10 dicembre, 11 braccianti, nel corso di una manifestazione per le precarie condizioni di lavoro, vennero uccisi dai Reali Carabinieri. Ricordiamoli: Leonilde Bonanni, Antonio Di Marco, Giuseppe Giovannini, Tullio Joschi, Francesco Lazzari, Carlo Marini, Luigi Pandolfi, Angelo Perini, Vincenzo Salusesto di Luigi, Luisa Turchetti e Marcello Vittori. Nel corso della repressione, quella mattina vennero ferite altre 13 persone.

A seguito dei gravi fatti accaduti, si aprì dunque il processo che, come accennato in precedenza, ebbe inizialmente sede nel Tribunale di Perugia  e si svolse il 12 maggio 1922, presso la 1 Sezione di Accusa . In prima sentenza furono condannati sia il Tenente Comandante della Compagnia di Ancona (30 anni di carcere), sia un graduato, per aver dato avvio  alla violenza della repressione (15 anni di carcere).  Il Tenente per “aver ecceduto colposamente i limiti di cui agli articoli 51 e 55 CP” (legittima difesa) e per avere deliberatamente cagionato ad altri soggetti una lesione personale, con l’aggravante di aver commesso il fatto con abuso di autorità“, il graduato, per gli stessi reati, ma senza aggravanti. Silvestro Motta ed i dirigenti della locale Camera del Lavoro, vennero assolti :”[omissis]…sia infine per l’altro delitto di istigazione all’odio tra le classi sociali: di che si hanno solo generiche affermazioni nel verbale della P.S. senza alcuna specificazione dei fatti”.

Giustizia era fatta, ma la sentenza scatenò le più agguerrite proteste delle Forze Armate e del Ministro dell’Interno che celere inviò  un minatorio messaggio al Ministero di Grazia e Giustizia: «Codesta amministrazione scrivente chiede un intervento urgente da parte di codesto Ministero al fine di ristabilire onore e rispettabilità delle Forze dell’Ordine, messi in dubbio da tale sentenza. All’uopo si segnalano le rimostranze del Comando Reali Carabinieri legione di Ancona alla Corte di Appello di Perugia (rammentando che la Corte di Appello di Perugia dipende funzionalmente da Ancona stessa), nonché le rimostranze fatte e le preoccupazioni espresse dal Sig. Gen. di CdA Porzio “indipendentemente dal vero stato delle cose e dell’interesse dei militari accusati vi è il rischio che le stesse Forze dell’Ordine fossero, da questa sentenza, demotivate e rese passive”. Si ritiene perciò un Vostro intervento al fine di ristabilire serenità e cordialità tra istituzioni dello Stato».

Il ricorso fu accolto dalla Suprema Corte di Cassazione il 17 novembre dello stesso anno, rimettendolo al Tribunale Militare, che si espresse il 31 marzo 1923.  Furono assolti entrambi i militari dai capi d’imputazione ascritti. Entrambi, nel 1925 vennero premiati con l’assegnazione di 5.000 lire al tenente e di 1.000 lire all’appuntato come “gratificazione per gli importanti servizi resi”.

Si concluse così, senza nessun colpevole, la strage di Val Canneto Sabino del 10 dicembre 1920.

Fonti : Associazione “Il Ponte, Messaggero online del 10 dicembre 2020, Rieti Life, Sabinamagazine.it, Wikipedia.

Back To Top