Mancini Enrico
Nato a Ronciglione (Viterbo) il 12 ottobre 1896-caduto il 24 marzo 1944, alle Fosse Ardeatine, Roma. Enrico nasce in una famiglia di piccoli agricoltori, da Francesco e Luisa Pizzuti. I genitori si trasferiscono a Roma con la famiglia subito dopo la nascita di Enrico, e vanno ad abitare in via Bodoni, nel quartiere Testaccio di Roma. Qui Enrico frequenta le scuole elementari. Giovane apprendista falegname, si specializza nella lavorazione dell’ebano. Viene richiamato alle armi per combattere nella Prima guerra mondiale nell’arma del Genio, da cui si congeda con il grado di caporale, una medaglia di bronzo e una croce di guerra. Una volta a Roma e con la guerra alle spalle, Enrico apre un laboratorio di falegnameria in via dei Conciatori, nei pressi della Piramide, si sposa con Argia Morgia e coltiva la passione per il trombone che suona con la banda del quartiere. Antifascista della prima ora, aderisce al Partito d’Azione nel 1942 ma paga la sua presa di posizione con l’incendio del negozio. Enrico ha sei figli, ma non si arrende: affitta una trattoria a via della Scrofa che gli consente di mantenere una fitta rete di relazioni con i suoi compagni che da lui hanno il vitto a credito. Sfrattato dall’abitazione di Testaccio, finisce con la famiglia in uno dei così detti “alberghi”, ovvero in un alloggio coatto a Garbatella, nel lotto 43 di via Percoto. Intanto lascia da parte la trattoria e si mette nel commercio di prodotti alimentari in società con due amici. Anche questa attività gli consente di mascherare le sue operazioni clandestine legate al Partito. Dopo l’8 settembre comincia ad aiutare economicamente i perseguitati politici e i partigiani sbandati e collabora al fianco di Giuseppe Celani e Renato Fabri. Nel Partito d’Azione Enrico ricopre incarichi di responsabilità nei quartieri Testaccio, Ostiense e Garbatella La Banda Koch lo arresta il 7 marzo 1944 nel suo ufficio in via Mario de’ Fiori 93 di fronte ai figli Bruno ed Elettra, mentre il piccolo Riccardo lo aspetta a casa invano. Portato alla pensione Oltremare e da qui alla pensione Iaccarino dove viene sottoposto a botte e torture per ben 12 giorni senza rivelare informazioni. Al momento dell’azione partigiana di via Rasella, Enrico si trova rinchiuso nel III braccio di Regina Coeli. È così che il suo viene iscritto nella lista dei condannati a morte per rappresaglia. Fucilato alle Fosse Ardeatine, muore all’età di 48 anni. Riposa al Mausoleo nel sacello 160. Articolo d L’Italia Libera, 13 settembre 1944 «Uomo dedito al lavoro e alla famiglia, era noto a Roma per i suoi sentimenti antifascisti. Dopo l’8 settembre intensificò a favore del Partito d’Azione la sua opera di attività clandestina fino al giorno del suo arresto per opera della banda Koch. L’ultima sua lettera dal carcere, espressione di grande amore per la famiglia che adorava, è la rivelazione del suo carattere e della sua fede in un migliore avvenire della Patria. Sanguinante ancora per le torture subite, lo attendeva alle Fosse Ardeatine il sacrificio supremo» [Giustizia e Libertà]. Il figlio Riccardo mantiene viva la memoria dei Martiri organizzando una maratonina annuale e ciclo passeggiata Trofeo Fosse Ardeatine
Mogavero 2012, pp. 179-80; Biografico Lazio, vol. II, p. 1181.; La Bella, Mecarolo, Amadori (1996), pp. 143-45;
http://miagarbatella.blogspot.it/2013/05/enrico-mancini.html; http://www.anpi.it/donne-e-uomini/683/enrico-mancini