skip to Main Content

La Resistenza a Roma e nel Lazio tra memoria e storiografia. Antonio Parisella

  1. Per una singolare coincidenza, la conclusione di questa ricerca è venuta a coincidere con il verificarsi dell’attentato – rivendicato da quello che si è autodefinito come “movimento antisionista” – al Museo storico della Liberazione nella sede dell’ex carcere nazista di via Tasso a Roma. È questa, se ve ne fosse stato ulteriore bisogno, una testimonianza di quanto, a cinquanta e più anni dalla sconfitta del nazismo e del fascismo, non siano venute meno le ragioni di un impegno culturale che è, ad un tempo, storiografico ed etico civile (1). Infatti, ci troviamo di fronte ad “usi pubblici della storia” ed a “politiche della memoria” che, nelle volgarizzazioni operate dai media e dalle polemiche politiche, sono ad un tempo frutto di mancanza di cultura storiografica e produttrici esse stesse di disinformazione storica nelle nuove generazioni. Se, infatti, dalla rivendicazione di un gesto che – comunque – è privo di motivazioni che non siano criminali, vogliamo risalire a significati che i suoi termini e il suo contesto assumono, occorre notare che l’accostamento tra antisionismo della rivendicazione e Resistenza antinazista ricordata nel museo rivela anzitutto ignoranza dal punto di vista storico. Infatti, a resistere al nazismo – e il luogo prescelto per l’attentato lo documenta con la memoria di molti, uomini e donne di Roma, che vi furono rinchiusi e torturati – furono tutte le componenti delle società europee, al di là delle appartenenze religiose, etniche, nazionali e sociali. Il nazismo è passato alla storia non solo per avere messo in atto lo sterminio degli ebrei, ma per avere elevato lo sterminio razziale e politico a sistema di governo, perpetrandolo ai danni anche di coloro che nel Reich si opponevano al dominio dello Nsdap e del suo Führer e, fuori di esso, al predominio della Grande Germania e all’instaurazione del Nuovo ordine europeo (2). Con il progetto di una supremazia basata sulla gerarchia razziale fra i popoli e sul ridimensionamento, anche fisico, territoriale e delle condizioni umane della composizione delle società e degli stati presenti sul continente, il nazismo rappresentava la più radicale minaccia che, dal suo interno, era venuta a svilupparsi contro l’Europa e la sua civiltà contemporanea. In tale contesto si collocava la “guerra totale” sviluppata senza esclusione di colpi anche contro le popolazioni civili e della quale il carcere di via Tasso – al pari delle Fosse Ardeatine e degli altri “luoghi della memoria” di cui è disseminata l’Italia – resta come una delle testimonianze più eloquenti (3). Attentare al Museo storico della Liberazione, pertanto, non è stata un’azione – folle e criminale – volta a colpire un luogo simbolo solo della comunità ebraica (peraltro, essa stessa non identificabile con il sionismo), ma un gesto minaccioso rivolto all’intera società italiana nella sua articolazione democratica di valori, civili e umani e di istituzioni, definiti dalla Costituzione della Repubblica democratica, che – al pari di quelli delle altre democrazie dell’Europa – del Noe rappresentano l’alternativa storica e ideale. E il pronto richiamo che i giovani della Comunità ebraica di Roma hanno rivolto all’intera popolazione romana e alle istituzioni testimonia di come in essi sia profonda e matura la coscienza che l’antisemitismo costituisca solo il segno più odioso ed inquietante di un attacco che periodicamente si rivolge contro l’intera compagine civile e sociale in quanto società democratica. A fronte di ciò, invece, persiste l’opinione – accreditata da un uso pubblico distorcente della storia da parte della cultura dei media e che sta diventando senso comune – che tende a ridurre lo scontro posto in essere durante la Seconda guerra mondiale ad uno scontro fra potenze equivalenti sul piano dei valori umani e delle culture civili, che assumeva significati particolari solo nei riguardi dei comunisti e degli ebrei e ciò ne spiegherebbe la particolare durezza e la particolare tragicità. Ed è all’interno di queste prospettive che anche lo scontro fra connazionali, cioè il carattere antifascista e non solo antinazista che la Resistenza assumeva, viene relativizzato come un qualsiasi scontro di potere fra soggetti politici equivalenti sul piano dei valori umani e civili. Quella che, in genere, si perde è la percezione dell’oggettivo salto qualitativo che la guerra e l’occupazione nazista imposero alle stesse forze politiche antifasciste. Da un lato la necessità di combattere un neofascismo, quello della Rsi, che nonostante i richiami al “movimento” delle origini – anche per la dichiarata e praticata scelta razzista e per la pressoché totale dipendenza dal nazismo – si presentava come qualcosa di ancor più minaccioso rispetto alle ambizioni e alle pratiche totalitarie del “regime” del ventennio. Dall’altro lato urgeva la necessità di misurarsi con il problema di fornire – dapprima in posizione di forte critica, poi di concordia discors con la monarchia – una guida e un orientamento ad un paese che sicuramente non accettava l’occupazione nazista e il collaborazionismo neofascista, ma che – per condizioni sociali e ragioni ideali – faticava a schierarsi esplicitamente dalla parte di chi si batteva in armi. In altri termini, si trattava per esse di individuare non solo i mezzi più efficaci per condurre la lotta sul piano militare, ma anche le ragioni civili e politiche per le quali un conflitto che – per l’esistenza della Rsi e del collaborazionismo – aveva assunto anche carattere di guerra civile, diventasse occasione di riscatto nazionale e di liberazione politica.
  2. Queste annotazioni introduttive sono apparse necessarie perché con esse si è inteso delineare i compiti che la ricerca storica – sia pure all’interno di un preciso ambito urbano e territoriale, come quello di Roma e del Lazio – è chiamata a svolgere. In primo luogo, quello di ritessere i fili di una trama di eventi che l’accumulazione della produzione memorialistica, pubblicistica e storiografica ha contribuito a delineare. In secondo luogo, quello di individuare quei giacimenti documentari che con il tempo, in Italia e fuori d’Italia, sono stati resi disponibili e che diventano strumenti essenziali e indispensabili di verifica e di approfondimento di ciò che già si conosce e di chiarimento delle ampie zone d’ombra che sono tuttora presenti. In terzo luogo, quello di fornire un quadro del passato non solo preciso ed esauriente nel delineare il profilo delle vicende e dell’operare dei soggetti sociali e delle istituzioni, ma anche capace di fornire risposte adeguate agli interrogativi posti al passato dalla sensibilità dei contemporanei. Pertanto, anziché una rassegna puntuale e sistematica dell’intera produzione memorialistica, pubblicistica e storiografica, si preferisce operare una selezione secondo alcune tipologie di opere rappresentative e di fornire una griglia di problemi e di orientamenti che serva ad orientare nei riguardi della bibliografia esistente. Alla produzione relativa alle vicende propriamente militari verrà dedicato uno spazio ridotto, non per sottovalutazione, ma per effetto di una carenza non di studi ma di formazione degli studiosi. Per essi, infatti, a lungo e fino ad epoca recente, si è riprodotta quella frattura per la quale la storia militare era concepita come a sé stante rispetto all’insieme dell’attività storiografica e, pertanto, dedicata a problemi ed aspetti rigidamente inseriti in una realtà quasi separata ed autosufficiente, che rendeva problematico stabilire dei ponti e dei canali di comunicazione.
  3. Nell’analisi degli scritti sulla Resistenza a Roma e nel Lazio ritengo utile adottare una periodizzazione che individui come date di riferimento da un lato gli anniversari della Liberazione, e dall’altro, ma a questi intrecciati, alcuni eventi della storia civile e politica che hanno avuto riflessi non secondari sulla memorialistica e sulla pubblicistica prima e sulla storiografia poi (4). Pertanto, anche ai nostri fini, è opportuno considerare in primo luogo il periodo che va dalla Liberazione al luglio ‘60. La Capitale e la sua regione, infatti, sono il luogo dove la guerra ha lasciato un seguito di macerie, di indigenza e di malattie che colpiva profondamente le sue popolazioni. Esse, inoltre, diventano ben presto anche uno dei luoghi dove la frattura dell’unità delle forze politiche del Cln assume dal 1947-48 anche caratteri territoriali e istituzionali: un Lazio contadino in agitazione dal 1944 al 1950 e oltre, contrapposto alla Roma guidata dal centrodestra; una Dc che per fronteggiare e assorbire il peso de L’uomo qualunque si apre alla collaborazione di centrodestra; lo scontro politico fra il Fronte popolare e la Dc che – fallita la “operazione Sturzo” del 1951 – prosegue con lo scontro per il Campidoglio della Dc con la lista “progressista” guidata da Francesco Saverio Nitti e – fino nei comuni più piccoli – con le liste del “blocco del popolo” sotto l’insegna della vanga e della stella; la contrapposizione dopo il 1951 dell’amministrazione capitolina guidata dalla Dc con quella della Provincia guidata dalla sinistra. È questo, come osservato ormai da tutti, il periodo in cui si costruiscono i miti contrapposti del “secondo Risorgimento” e della “Resistenza tradita”, cui corrispondono due memorie contrapposte della Resistenza, quella nazionalpatriottica delle forze di governo e quella conflittuale della sinistra che rivendica a sé, nelle lotte sociali e per la pace, la continuità con una Resistenza da compiere. Esemplare del clima di questo periodo è la dedicazione a Roma – il 7 febbraio 1949 – di una medaglia d’oro al valore militare (ministro della Difesa è il repubblicano anticomunista Randolfo Pacciardi) nella cui motivazione il ricordo della Repubblica Romana del 1849 viene collegato alle “recenti tragedie della Patria” durante le quali il popolo romano “ha vissuto le memorabili ore del martirio e della riscossa”. Ma è questo il periodo in cui una ricomposizione della memoria locale è compiuto dal cinema neorealista in chiave nazionalpopolare, con Roma città aperta di Roberto Rossellini, che peraltro contribuisce alla creazione di un più generale stereotipo a livello nazionale. Dal punto di vista della produzione bibliografica, com’è ovvio, in questo periodo si rintracciano soprattutto testimonianze, memorie e inchieste giornalistiche che investivano vari aspetti e problemi. Alcuni volumi, tuttavia, si distinguevano per il loro valore documentario – seppur orientati a tracciare quadri generali – in quanto raccoglievano e pubblicavano documenti ai quali la ricerca avrebbe a lungo fatto ricorso: le ricostruzioni di Agostino Degli Espinosa sul “Regno del Sud” e quella di Giacomo Perticone sulla Rsi (5). Accanto ad esse, tra i numerosi scritti di parte fascista, può essere ricordata la ricostruzione polemica di Attilio Tamaro (6). Quanto alle memorie, vanno ricordate quelle di origine militare. In primo luogo, quelle di alcuni generali coinvolti nelle polemiche sulla mancata difesa di Roma (7). In secondo luogo, quelle di alcuni generali che ebbero ruoli nella Resistenza e nella costituzione di quei reparti regolari che ebbero il battesimo del fuoco sul fronte di Cassino (8). In terzo luogo, quelli relativi alla diretta partecipazione dei militari alla Resistenza (9). Ma gli scritti di gran lunga più interessanti, quelli che offrono una insostituibile traccia di sentimenti e di orientamenti che nessun’altra fonte potrà mai rendere, sono volumi di inchieste giornalistiche e di memorie di personaggi non protagonisti dai quali è possibile trarre indicazioni sul costume, sui comportamenti quotidiani dei diversi ambienti e sulla vita sociale nella città occupata (10). Allo stesso modo, risultano illuminanti di una mentalità, oltre che per singoli tragici episodi, alcuni libri di memorie di protagonisti tedeschi, pur animati da intenti giustificatori, come Eugenio Dollmann e Albert Kesselring (11). Per le realtà che erano fuori della città di Roma, per questo periodo si ricordano, soprattutto, il dossier sulle attività del Raggruppamento bande partigiane dell’Italia centrale, cioè delle formazioni facenti capo al Fronte militare clandestino della Resistenza12; inoltre, gli scritti sulle distruzioni di Cassino e Montecassino (primi di una lunga serie ininterrotta fino ai nostri giorni) e di Frascati (dove inizialmente aveva sede il comando tedesco) (13). Tra le testimonianze più rilevanti per altre realtà vanno ricordate per lo sbarco di Anzio quella di Alberto Tarchiani, esule antifascista ed esponente del Partito d’Azione, che era con gli Alleati e che nel dopoguerra sarebbe stato ambasciatore a Washington, il diario di Pino Levi Cavaglione, anch’egli del Partito d’Azione, che dal Piemonte si reca nei Castelli Romani per organizzarvi e guidarvi la lotta armata, e la raccolta di documenti relativa all’attività del vescovo di Rieti, Luigi Benigno Migliorini, che fu particolarmente attivo e fermo nel tentare di mitigare gli effetti sulle popolazioni dell’attività di un’occupante che, godendo della diretta collaborazione delle autorità della Rsi, scatenava una dura repressione segnata da sanguinose stragi e rappresaglie (14). Va ricordato che in questa fase, subito dopo la Liberazione, presso l’emeroteca dell’Archivio storico capitolino venne organizzato il fondo di manifesti e di testate clandestine del periodo della Resistenza, nel 1950 (ma particolarmente attivo dal 1954) venne fondato l’Istituto Gramsci e nel 1955 (ma inaugurato nel 1957) venne organizzato il Museo storico della Liberazione: si tratta dei tre luoghi principali di conservazione di raccolte documentarie sulla Resistenza romana, a lungo gli unici luoghi dove poter fare ricerca sul tema (15).
  4. La seconda fase di produzione bibliografica è quella che va dal 1960 alla metà degli anni ’70. Essa è caratterizzata dal mutamento di clima culturale-politico che si produce dopo gli eventi – tra i quali i fatti di Porta San Paolo – che portano alla caduta del governo Tambroni, che si reggeva con i voti determinanti del Msi, e alla ripresa del dialogo fra le forze antifasciste, poi canonizzato con la formula “arco costituzionale”. Soprattutto dopo il 1965, questa fase vedrà una progressiva differenziazione e tensione fra l’affermarsi della tendenza ad una rappresentazione celebrativa, unanimistica e istituzionale della Resistenza – intesa come legittimazione dell’intero sistema politico – e l’emergere di elementi polemicamente e culturalmente critici, poi legati ai movimenti del ‘68 e degli anni successivi: a Roma, la data di passaggio è rappresentata dal 1966, con l’uccisione di Paolo Rossi, studente cattolico militante socialista, a seguito di un’azione squadristica di elementi di estrema destra (16). Elemento di novità, in questa fase, è la fondazione nel 1963, ad opera di Ferruccio Parri, e l’inizio dell’attività nel 1964 dell’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza: suo compito, come Istituto federato all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, sarebbe stato quello di sviluppare in ambito regionale quell’attività che la legge istitutiva (7 gennaio 1967 n. 3) avrebbe attribuito all’Insmli: di ricerca, promozione della cultura e aggiornamento didattico sulla storia della Resistenza, del fascismo e dell’età contemporanea. Elemento caratteristico di questa nuova fase era l’iniziale atteggiamento positivo che le amministrazioni locali, rette da amministrazioni di centrosinistra, mostravano nei riguardi dell’iniziativa culturale sulla Resistenza. Il Comune forniva la sede e i contributi finanziari per il decollo dell’Irsifar, la Provincia promuoveva e pubblicava un importante convegno nazionale e una ricerca di cui si dirà più oltre. La fase iniziale di questo periodo va ricordata soprattutto perché è la fase in cui si consolidava la storiografia sulla Resistenza secondo caratteri destinati a permanere nel tempo. Infatti, è in questo periodo che viene pubblicata la seconda edizione – riveduta e ampliata rispetto a quella del 1955 – della Storia della Resistenza italiana di Roberto Battaglia, che sarebbe rimasta l’opera di gran lunga più diffusa e letta sull’argomento, seguita da quelle di Giorgio Bocca e di Renato Carli Ballola (17). Caratteristica di questi lavori, in relazione alla realtà romana e laziale, era quella di una generale sottovalutazione del rilievo, ai fini della liberazione finale, degli eventi di cui era stata teatro l’Italia centrale: essi apparivano come espressione di un paese capace di generare un generoso ed esteso ribellismo spontaneo ma inefficace o scarsamente efficace, in quanto espressione di un paese che l’8 settembre 1943 aveva perduto la sua guida politica e istituzionale e che ancora non ne aveva trovata una certa e sicura, quale quella che i partiti antifascisti avrebbero espresso dopo la “svolta di Salerno” e dopo l’attestarsi del fronte sulla linea Gotica. La Resistenza “vera” sarebbe nata solo nel corso dell’estate del 1944, con l’ingrossamento delle formazioni con renitenti ai bandi di leva della Rsi e con il consolidarsi del ruolo di guida del Clnai. Negli stessi anni anche da parte fascista si compiva uno sforzo editoriale con la pubblicazione della voluminosa Storia della guerra civile di Giorgio Pisanò, dapprima in fascicoli, poi in volume (18): obiettivo appariva quello di ridare legittimità al neofascismo, marginalizzato nel sistema politico, presentando lo scontro del 1943-45 come una lotta per il potere tra parti equivalenti sul piano dei valori civili. Retrospettivamente c’è da osservare che questo uso pubblico che si faceva dello scontro fra connazionali e concittadini, con gli innumerevoli strascichi polemici e conflitti ideologici che lo accompagnavano, era una delle cause dell’irrigidimento della storiografia di matrice antifascista nella negazione dell’uso della categoria della guerra civile come uno dei criteri interpretativi della vicenda. Tra il 1963 e il 1967 vedevano la luce le quattro opere che, sotto il profilo della ricostruzione e della narrazione degli eventi nel loro complesso, sono rimaste a tutt’oggi quelle alle quali si fa il maggiore riferimento: dapprima, nel 1964, La Resistenza in Roma di Renato Perrone Capano, poi, nel 1965, la Storia della Resistenza romana di Enzo Piscitelli (promossa dall’Irsifar), e 8 settembre 1943. Il sole è sorto a Roma di Lorenzo D’Agostini e Roberto Forti (edita dall’Anpi), quindi Il contributo di Roma e della Provincia nella lotta di liberazione di Viva Tedesco (promossa dalla Provincia) (19). Carattere comune a questi lavori era quello del rilievo preponderante e talora esclusivo che vi assumeva la storia politica in tutte le sue manifestazioni, variamente graduate: le formazioni politiche erano, indiscutibilmente, i soggetti protagonisti della lotta e condividevano questo ruolo con quelli – ritenuti quasi esclusivamente ritardanti ed attendisti – della monarchia e della Chiesa cattolica. Ogni testo, tuttavia, recava apporti conoscitivi specifici e complementari, derivanti dall’uso di fonti particolari. Perrone Capano, giurista, valorizzava le fonti giudiziarie, nella specie le numerose sentenze di processi a esponenti nazisti e fascisti apparse su riviste giuridiche e, con profili talora precisi e puntuali, metteva a fuoco le figure di alcuni dei principali protagonisti: inoltre, proprio per il tipo di fonti che impiegava con larghezza, vi trovavano spazio considerazioni non solo storiografiche sugli aspetti della repressione giudiziaria e poliziesca. Piscitelli, nelle cui pagine trovavano uno spazio privilegiato le vicende dei partiti e del Cln, si serviva soprattutto dello spoglio sistematico della stampa clandestina allora reperibile, della quale tracciava anche un efficace profilo. D’Agostini e Forti, da parte loro, mettevano a frutto non solo la diretta esperienza di testimoni e protagonisti, ma anche la conoscenza delle vicende – talora riguardanti località della regione –che, oltre ai partigiani combattenti, coinvolgevano anche gente comune, in particolare le donne. Viva Tedesco, infine, compiva uno sforzo duplice: quello di tentare una contestualizzazione della realtà locale nell’ambito delle vicende nazionali e quello di dare un certo corpo – come dice il titolo – a realtà della provincia romana, intesa come l’intero Lazio, ben oltre i confini amministrativi del distretto della Capitale. Anche l’uso delle fonti era appropriato a tale scelta: uno spoglio sistematico della memorialistica, non solo italiana, e – per la prima volta – il ricorso alla documentazione dell’Ufficio per il riconoscimento delle qualifiche e per le ricompense ai partigiani. Di questa fase vanno ricordati anche i due fascicoli speciali, pubblicati in corrispondenza di mostre per il ventennale e il venticinquennale, a cura di Armando Ravaglioli e (il secondo anche) di Giorgio Caputo: Roma città aperta. I nove mesi della prigionia di Roma e della Resistenza romana del 1964 e La Resistenza di Roma 1943-1944 del 1970 (20). È in questa fase che, a seguito della rappresentazione nel 1963 del Vicario di Rolph Hocchhuth, cominciano a svilupparsi le polemiche sui cosiddetti silenzi di Pio XII nei riguardi della persecuzione e dello sterminio degli ebrei: la tematica solo in parte entra direttamente nelle vicende della Resistenza romana, diretta com’è a sollevare un problema che riguarda l’Europa intera; tuttavia non si può omettere di ricordare che sulla scia di essa, tra il 1965 e il 1981, la Santa Sede avviò la pubblicazione di ben undici volumi di Actes et documents tratti dagli archivi vaticani, dove si ritrovano numerosi documenti relativi anche alla realtà di Roma (21). Tra le opere di questo periodo più direttamente dedicate alla realtà ecclesiale romana vanno ricordate le memorie di Giuseppe Dalla Torre, direttore dell’Osservatore Romano, del 1967, e quelle di mons. Alberto Giovannetti, relative all’atteggiamento generale del Vaticano durante la guerra e a quello sulla questione della “città aperta” di Roma (22). Inoltre, non si può dimenticare il volume di mons. Elio Venier, capo dell’ufficio stampa del Vicariato, che raccoglieva profili e testimonianze di preti romani (23). Infine, non si può tralasciare di ricordare che il 16 febbraio 1974, in risposta ad attacchi squadristi di militanti della destra cattolica ad alcuni partecipanti al convegno sulle responsabilità dei cristiani per i “mali” di Roma, nelle conclusioni del convegno Luciano Tavazza dichiarava la fedeltà ai valori della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza della comunità ecclesiale romana, ricordando che essa non solo si era direttamente impegnata nella difesa dei diritti di tutti i cittadini, ma che – con don Morosini ed altri laici e religiosi – aveva pagato il suo contributo di sangue alla causa comune. La rappresentazione esclusivamente ciellenistica della Resistenza romana non poteva essere esaustiva neppure in un clima fortemente caratterizzato dalla prevalenza della storia politica. Nonostante che a livello nazionale lo studio della Rsi e dell’organizzazione nazista avesse compiuto passi avanti grazie alle opere di Deakin e di Collotti, oltre che con il convegno romano del 1964 (24), restavano piuttosto sconosciute le forme istituzionali della presenza fascista repubblichina e nazista, con la parziale eccezione dell’organizzazione repressiva. In secondo luogo, sembrava aver ricoperto un ruolo di scarso rilievo quella presenza militare che, invece, era tutt’altro che irrilevante e lo studio della quale non poteva liquidarsi con il solo ricorso alla categoria dell’“attendismo”. In terzo luogo, restavano fuori del panorama delle presenze anche quelle formazioni politiche che erano restate ai margini o fuori dell’organizzazione del Cln. I primi a ritrovare un posto nella storiografia erano i cattolici-comunisti, ai quali Lorenzo Bedeschi dedicava un volume nel 1964, cui facevano seguito, con specifica caratterizzazione romana, un volume tra memoria e ricerca di Mario Cocchi del 1966 e, soprattutto, alcuni saggi di Carlo Felice Casula poi confluiti in un volume nel 1976, una raccolta documentaria a cura di Mario Cocchi e Pio Montesi nel 1975 ed un’organica ricostruzione dell’intera vicenda nazionale ad opera di Francesco Malgeri nel 1982 (25). Fu poi la volta di Bandiera rossa, alla quale dapprima Giorgio Genzius dedicò un memorialistico volume polemico nel 1964 e poi Silverio Corvisieri un saggio politicamente critico nel 1968 (26). Ed anche l’esperienza dei giovani socialisti di “Rivoluzione socialista” trovò nel 1964 Leo Solari che ne ricostruì le vicende in un volume a metà tra il saggio e la memoria (27). Toccò poi a chi scrive contribuire alla riscoperta del movimento cristiano-sociale, dedicando ad esso un breve saggio nel 1976, al quale avrebbero fatto seguito un più ampio contributo nel 1981 e una raccolta di studi e testimonianze del 1984, tra le quali una memoria di Ezio Rosini sulla sezione romana, dalla quale avrebbe preso le mosse Fabio Del Giudice per una documentata tesi di laurea che utilizzava le carte di Gerardo Bruni, depositate presso la Fondazione Basso dopo la morte del leader cristiano-sociale (28). Altri movimenti politici presenti nella realtà romana clandestina che trovarono chi ne ricostruì le vicende in questa fase furono il Partito democratico italiano, con un saggio di Sandro Setta e il Partito democratico del lavoro, con un libro di poco successivo di Lucio D’Angelo (29). Su un altro versante della ricerca, invece, la critica all’impostazione tradizionale di stampo ciellenistico della storiografia non dette risultati particolarmente apprezzabili. Infatti l’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza, da un lato, subì al suo interno le conseguenze dei contrasti che avrebbero a lungo lacerato la storiografia contemporaneistica italiana e, dall’altro, non fu posto in grado di svolgere la sua specifica funzione di promotore della ricerca territoriale. Così esso – per il tramite di suoi ricercatori che operavano all’interno di essi – fu solo indirettamente coinvolto nelle novità che venivano dai gruppi di ricerca dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, al quale era federato, ed ai quali si devono i volumi sull’Italia nei quarantacinque giorni e sulla condizione operaia e contadina nel biennio 1943-4430. Un’occasione propizia per promuovere una svolta nella ricerca storica locale venne offerta dalle ricorrenze del trentennale della Liberazione nel 1974- 75, ma essa fu colta solo in parte dalla classe politica della Regione Lazio: essa promosse la partecipazione delle diverse province alla mostra delle Regioni organizzata ai Mercati di Traiano a Roma e da ciò derivò una sintesi dal titolo Resistenza e libertà nel Lazio, accompagnata da un volume dallo stesso titolo, pubblicato solo nel 1979, che nel trentacinquesimo anniversario la accompagnò in alcune realtà locali (31). Per le loro stesse caratteristiche, si trattava di testi che rispecchiavano uno stato delle ricerche locali piuttosto frammentario e impressionistico, fortemente condizionato dalla necessità di dare un’immagine positiva della partecipazione (o del contributo) delle diverse popolazioni e dei diversi territori alla vicenda storica comune e sviluppato al di fuori del contesto del dibattito storiografico allora particolarmente intenso. Eppure, ad esempio, a sollecitare una considerazione non convenzionale delle realtà locali, il cinema e la letteratura non avevano mancato di fornire alcuni stimoli di grande rilievo: a tacere di altri, come non ricordare due opere la cui matrice era da ricercarsi in una comune esperienza dei due autori nel 1943-44: “La ciociara” di Alberto Moravia e la sua trasposizione cinematografica del 1960 ad opera di Vittorio De Sica con l’interpretazione che valse a Sophia Loren il premio Oscar; “La storia” di Elsa Morante, pubblicato nel 1975, che veniva tacciato di populismo letterario, ma che richiamava con prepotenza l’attenzione sulla dimensione sociale e quotidiana della storia, con anticipo di qualche anno di una tendenza che avrebbe caratterizzato un’intera stagione storiografica. Coinvolti direttamente dalla Regione Lazio in un’impresa di ricerca ed editoriale, alcuni dei più prestigiosi storici romani ed i loro più giovani allievi, con gli otto “Quaderni della Resistenza laziale”, usciti tra il 1978 e il 1981, non riuscirono a incidere in maniera significativa né sullo sviluppo della ricerca locale né sul dibattito storiografico nazionale: infatti, per la loro caratteristica editoriale, i “Quaderni” restavano fuori della diffusione commerciale e del circuito dei lettori delle riviste specializzate, mentre per la loro caratteristica accademica risultavano talora fuori sintonia rispetto al pubblico non specialista delle biblioteche comunali, delle scuole e delle associazioni locali. Quanto ai loro contenuti, appariva inspiegabile l’assenza di qualsiasi contributo sulla provincia di Rieti dove era ampiamente noto che si erano sviluppati eventi di grande rilievo, come la zona libera di Leonessa (la prima in Italia), stragi e repressioni fasciste e naziste di grande durezza, presenza di formazioni partigiane organizzate e combattive, alcune delle quali composte da prigionieri slavi evasi dopo l’8 settembre (32). Inoltre, colpiva il fatto che negli studi dedicati ai contadini e agli operai si era deciso di impiegare le risorse umane e intellettuali di promettenti studiosi – come Guido Crainz e Giovanni Contini – in ricerche sul dopoguerra (33) mentre erano carenti ancora non solo gli studi delle due realtà durante la guerra ma anche quelli sulla condizione delle fabbriche e delle campagne nell’anteguerra. In alcuni casi – come quelli sulla presenza ecclesiastica dovuti ad Andrea Riccardi (34) – si anticipavano lavori di ben più intenso impegno, in altri – come quelli di Bruno Di Porto sul Viterbese e di Gioacchino Giammaria sulla Ciociaria (35) – si trattava di contributi di carattere tradizionale che comunque recavano apporti conoscitivi di qualche rilievo, in altri ancora – come quelli di Mirella Scardozzi su Civitavecchia e dei giovani coordinati da Vittorio Emanuele Giuntella su Capranica (36) – si teneva conto anche di novità problematiche e metodologiche, mentre in altri, infine – come quello di Linda La Penna sulla provincia di Latina – era palese la difficoltà di entrare in sintonia con una realtà, trascurando di indagare su problemi che erano già emersi nella pubblicistica precedente (37). In effetti, per quanto riguarda il contesto regionale, anzi numerose realtà di centri provinciali, memorialistica e pubblicistica locale avevano da tempo iniziato a mettere in risalto la necessità di ricorrere a criteri diversi da quelli della Resistenza armata per dar conto della vicende del 1943-44, dal momento che – per la particolare presenza di grandi concentramenti di truppe e per la particolare disgregazione sociale delle realtà rurali e montane – di essa era talora difficile ritrovare traccia. Al contrario, apparivano come consistenti altri aspetti, come quello dell’ospitalità ai militari italiani sbandati e agli ex prigionieri alleati, quello dello sfollamento, quello della vita precaria in grotte e rifugi di fortuna per sfuggire alle conseguenze dei bombardamenti, quello della protezione dei prodotti e degli animali dalle razzie ecc. D’altro canto, l’assenza di lotta partigiana armata non era stata garanzia perché le popolazioni non subissero ugualmente stragi e uccisioni di singoli. Giuseppe Panimolle aveva acutamente descritto la realtà dell’Alta Valle dell’Aniene, Piergiacomo Sottoriva quella della provincia di Littoria, padre Calderazzo da Montefusco quella di Cisterna di Latina, padre Italo Maria Laracca quella di Velletri, Angelo Sacchetti Sassetti quella di Alatri, Luigi Bandiera quella di Palestrina (38): si trattava di alcuni esempi di una letteratura locale, talora di buon livello, che faticava a trovare una diffusione più generale, alla cui promozione l’intervento della politica culturale della Regione avrebbe potuto prestare maggiore attenzione. In alcuni di questi scritti (Panimolle, Sottoriva), si cominciava a parlare di “Resistenza passiva”, espressione in qualche modo impropria, se riferita all’accezione gandhiana, ma sicuramente stimolante se voleva richiamare la necessità di un altro modo di resistere di popolazioni che non erano restate estranee alla vicenda generale. Il clima culturale e politico non consentiva che tale sollecitazione potesse essere colta in pieno), tuttavia era significativo che già si ponesse – proprio “dal basso”, com’era di moda dire allora – un problema storico del quale la storiografia, ancora fortemente ideologizzata anche nei settori più criticamente maturi, avrebbe faticato a prendere coscienza per almeno un ventennio.
  5. Dalla metà degli anni ’70 vari fattori concorrevano a un calo d’interesse per le tematiche strettamente resistenziali: il dibattito sul “consenso” al fascismo del ventennio scaturito dalla pubblicazione dei volumi del Mussolini di Renzo De Felice e dalla nota Intervista sul fascismo; l’attenzione che si spostava gradualmente al dopoguerra e alle caratteristiche del blocco sociale dell’Italia repubblicana e alle forme della continuità istituzionale dello Stato; la difficoltà di individuare nell’esperienza resistenziale aspetti non compromettenti quali quelli della lotta armata in anni in cui anche il terrorismo produceva nefasti effetti indiretti sullo sviluppo degli interessi storiografici. Tra essi, a partire dai primi anni ’80, in concomitanza con predicazioni sul “ritorno al privato” dopo la stagione delle ubriacature politiche, prende piede quell’opera di rivalutazione del fascismo dapprima strisciante poi platealmente clamorosa (con le due mostre di Milano e di Roma, rispettivamente su Milano anni trenta e L’economia italiana fra le due guerre). La ricerca di nuovi patti sociali e di egemonie politiche adeguate alla nuova trasformazione del paese sembra travolgere progressivamente anche i più consolidati punti di arrivo della precedente storiografia. Gradualmente, con gli apporti che provengono dalla storiografia revisionista, da mito positivo l’antifascismo e la Resistenza cominciano a diventare una sorta di mito negativo. Ogni espressione della cultura critica che si era in precedenza opposta alla trasformazione della storia in mito rischia di continuo di vedere stravolti i propri obiettivi e le proprie proposte analitiche e interpretative. La cultura dei media, infatti, comincia a mostrarsi capace di ribaltare e sovvertire gli effetti di una storiografia critica che in precedenza aveva combattuto le versioni dell’antifascismo e della Resistenza più consensuali e più facilmente inseribili nell’uso pubblico della storia dei principali partiti politici. Il quarantennale della Liberazione risente sicuramente di questo nuovo clima e sono indubbiamente ben poche le opere di rilievo pubblicate in questa nuova situazione. Le novità più significative emergono dal nuovo rilievo che va assumendo la memoria ebraica, che si rivela suscettibile di fungere da stimolatore e da volano rispetto all’inerzia sociale e culturale che caratterizza la società nazionale e locale del post-terrorismo e della nuova “grande trasformazione” postindustriale. Dall’attacco alla Sinagoga di Roma del 1972 fino alle numerose provocazioni e profanazioni ad opera di gruppi di estrema destra che – in analogia con quanto avviene in altre realtà europee – ormai assumono di preferenza il nazismo più che il fascismo come punto di riferimento e fino al manifestarsi di nuove discriminazioni in relazione alle immigrazioni dai paesi ex coloniali, gradualmente si scopre una nuova dimensione dell’antifascismo come lotta alle intolleranze e per i diritti umani. Nelle nuove generazioni, pertanto, tali sollecitazioni sono di stimolo perché vengano talora a fondersi le eredità della cultura militante di sinistra che si è sottratta alla lusinga terroristica e le prime manifestazioni di una nuova cultura della solidarietà di matrice cattolica. Il collegamento con la memoria tende a farsi gradualmente diretto, scavalcando la mediazione della storiografia, che sembra non del tutto adeguata a cogliere le nuove domande e i nuovi problemi che stanno maturando. Nel panorama editoriale di Roma e del Lazio, di questa fase sono ben poche le opere che meritano di essere segnalate. In primo luogo la ricerca di Andrea Riccardi sulle attività pastorali e assistenziali della Chiesa cattolica a Roma tra gli anni ’30 e gli anni ’50, sviluppo dei precedenti lavori sulla Resistenza: ad essa fa riscontro la ricerca di Roberto Zuccolini, che ne applica categorie e criteri di indagine ad alcune realtà locali del Frusinate (39). In secondo luogo la ricerca di Lidia Piccioni sul quartiere romano di San Lorenzo, che insieme al capitolo della stessa autrice dedicato ai tipografi romani è un esempio di come la storia della Resistenza in una grande città possa proficuamente attingere in comprensione da analisi differenziate e circostanziate relative a soggetti sociali e territoriali (40). In terzo luogo il volume L’altro dopoguerra, curato da Nicola Gallerano, che raccoglie gli atti del convegno nazionale organizzato dall’Irsifar per il quarantennale della Liberazione (41): in esso il periodo viene colto nelle sue ambiguità di momento in cui si rivelano specificità territoriali, ma anche comportamenti sociali di più lungo periodo destinati ad incidere sull’intera compagine nazionale. Un’ambiguità che rinvia direttamente alla ricerca di precedenti nel periodo della particolare Resistenza della Capitale e della sua regione, dei suoi caratteri e delle sue componenti. Tra le memorie, un indubbio rilievo avevano quelle di Rosario Bentivegna e il diario di Franco Calamandrei: non tanto perché recassero particolari elementi di conoscenza alle vicende politico-militari dei Gap, quanto perché aprivano squarci importanti alla comprensione del complesso sistema di sentimenti, di relazioni umane, di culture di due importanti protagonisti della lotta armata resistenziale (42). Inoltre, va ricordato il volume fotografico di Benedetto Pafi e Bruno Benvenuti perché costituisce la prima organica raccolta tematica di fotografie, sia pure fatta senza particolari criteri filologici: c’è solo da lamentare che esso abbia avuto scarsissima circolazione e che ben presto sia diventato irreperibile (43). Infine, tra le pubblicazioni relative a realtà delle province laziali, va segnalato il volume che raccoglie, comune per comune, notizie, memorie e documenti relativi alla provincia di Frosinone (44): esempio che non ha trovato, purtroppo, seguito in altre realtà provinciali.
  6. Il cinquantenario ha segnato una vera e propria inversione di tendenza, non solo perché la ricorrenza in sé era di quelle che mobilitano energie, ma perché la fine del sistema politico della cosiddetta “prima Repubblica”, con la vittoria delle destre nelle elezioni del 1994, intrecciata con le vicende del processo Priebke, hanno rimesso in movimento emozioni, riflessioni, impegni militanti. Va ricordato che proprio da Roma, nell’autunno del 1993, era partito il ciclo delle celebrazioni con il convegno promosso da Anpi-Fiap-Fivl su Passato e presente della Resistenza. Nella pratica impossibilità di procedere ad una rassegna puntuale della produzione recente, mi limito a segnalare alcuni problemi di ricerca. Il primo è di carattere sociale e territoriale: esso riguarda il rilievo che le trasformazioni sociali sia nella città di Roma, sia nel territorio regionale verificatesi nel corso degli anni Trenta (45) hanno avuto nel determinare quegli specifici fenomeni che sono presenti nella realtà urbana di Roma (tanto nei centrali quartieri borghesi e piccolo-borghesi, quanto nelle periferie e nelle borgate proletarie e sottoproletarie) e nella realtà regionale (tante e diverse società rurali con diversi gradi di integrazione sociale e amministrativa con i capoluoghi che rispondono in maniera diversa alla presenza della guerra nei territori provinciali (46). In particolare, un rilievo del tutto specifico assume la conoscenza della “prima” Resistenza (47) – quella precedente lo sbarco di Anzio – anche al fine di confermare o meno il tradizionale giudizio di non maturità condiviso con l’insieme dell’Italia centrale. Proprio in relazione alla “prima Resistenza”, e poi anche al resto delle vicende, c’è da sviluppare il filone relativo all’accoglienza di massa nei riguardi dei militari sbandati e dei prigionieri alleati fuggiti dai campi presenti nel territorio regionale: nella Resistenza locale si ritrovano italiani di svariate provenienze regionali, oltre ad inglesi e americani ed anche a sovietici e jugoslavi. Né va dimenticato che nei primi giorni di lotta si stabiliscono anche solidarietà dirette con i combattenti, sia nella sfortunata difesa della Capitale – come ha ricordato Cesare De Simone – sia in quei tanti episodi, piccoli e grandi, che da Monterosi a Monte San Biagio, da Terracina a Monterotondo, a Gaeta e a tante altre località, punteggiano il territorio regionale. Inoltre, a cavallo tra la partecipazione diretta alla lotta armata e il ruolo di elemento fondamentale della coesione di una società in fase di disgregazione, c’è ancora da sviluppare una ricerca adeguata sul ruolo della donna nei diversi contesti regionali e i recenti contributi di Simona Lunadei sono ricchi di spunti felici (48): come e quanto incidessero le culture e le condizioni sociali, l’alterazione dei rapporti durante la prima fase della guerra, fenomeni quali le promiscuità della vita nelle grotte e nei campi di raccolta degli sfollati. Né va dimenticato che le donne di una parte della regione furono sottoposte a stupri di massa da parte delle truppe nordafricane arruolate nei reparti francesi: si tratta di un aspetto rispetto al quale la ricerca si è finora fermata di fronte alle difficoltà di raccolta delle fonti e della documentazione. Vi è poi l’aspetto nuovo che ha preso la ricerca sulle chiese: proseguendo sulla strada di Riccardi e Zuccolini, Augusto D’Angelo ha analizzato da vicino la diocesi di Frascati ed ha abbozzato un quadro interessante della realtà delle istituzioni ecclesiastiche (49), al di là della polemica sull’attendismo o di quella sul ruolo di predisposizione di una transizione politica: il rifarsi alle felici intuizioni di Federico Chabod (50) in tale settore ha finito talora per significare accontentarsi della strada più semplice, con la conseguenza di bloccare la ricerca. A tal proposito, uno studio come quello di Roberto Violi sulla religiosità di guerra, che sviluppa in maniera originale tematiche proposte all’attenzione da Francesco Malgeri, è un richiamo alle potenzialità storiografiche che hanno anche alcune fonti minori, quali quelle dei santuari con i loro bollettini, i loro ex-voto, i loro rituali (51). Drammaticamente legato alla vicenda delle Fosse Ardeatine è il problema delle stragi: nella vicenda romana esso è strettamente legato alla persecuzione razziale e alla memoria ebraica. Non si è ritenuto di seguire lo sviluppo di quest’ultimo tema perché esso è stato sempre molto ricco di elaborazioni e di testimonianze, seguire le quali avrebbe richiesto l’impiego di tutte le energie e gli spazi disponibili, ma esso non potrà mai essere ignorato in qualsiasi ricerca sulla Resistenza. In questa sede, con riferimento alle stragi, e più in generale alle uccisioni anche di singoli, ma immotivate da esigenze dirette di guerra, si vuole ulteriormente sottolineare la necessità di una specifica considerazione di tutti gli episodi già noti e di una scoperta dei numerosissimi oggi ignoti (o perché lo erano da sempre, o perché caduti nell’oblio). Sono essi la testimonianza più bruciante di come l’estensione dell’occupazione nazista fosse la penetrazione di cariche di odio nelle più riposte e nascoste situazioni della società europea: la loro conoscenza è l’unico modo per avere la percezione della disumanità di una guerra totale che non era tale solo perché comportava la deportazione di donne e di uomini, ma perché li minacciava, talora senza alcuna plausibile ragione, fin nel più sperduto casolare di campagna o nella più fredda soffitta di città. E poiché le stragi non sono state sempre soltanto opera degli occupanti, ma anche dei collaborazionisti, da ogni ricerca e da ogni memoria emerge la necessità di conoscere cosa abbia rappresentato nella regione l’organizzazione della Rsi, delle sue istituzioni e dei suoi uomini. Infine, il volume di Enzo Forcella La Resistenza in convento sviluppa elementi che erano stati al centro di una precedente riflessione dell’autore (52). Qui non interessa tanto il rapporto tra l’autore, la sua memoria e quella dei suoi coetanei, quanto la realtà che egli sottopone alla nostra attenzione. Il fatto che nel corpo della città (ma anche nel corpo delle società delle province) vi fosse la possibilità di rendere “morbido” anche l’impatto con la durezza dell’occupazione nazista, non deve far dimenticare – come la pubblicazione delle lettere dei condannati a morte romani testimonia, aggiungendo documenti a quelli già noti (53) – che anche su alcuni di coloro che erano riusciti ad “addolcire” la repressione si scagliò poi la furia omicida. Ma, ancora di più deve essere di stimolo alla scomposizione del grande coacervo costituito dalla cosiddetta “area grigia” o “zona grigia” dell’attendismo secondo linee non sempre facili, distinguendo tra gli opportunismi e quella che, pur condotta senza armi, era pur sempre una lotta contro un nemico potente e spietato (54).

NOTE

1 Cfr. C. Pavone, La Resistenza oggi, problema storiografico e problema civile, in Idem, Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Bollati Boringhieri, Torino 1995, pp 185-207 e A. Parisella, Sopravvivere liberi. Riflessioni sulla storia della Resistenza a cinquant’anni dalla Liberazione, Gangemi, Roma 1997.

2 Cfr. E. Collotti, Grande Germania e gerarchia di popoli nel progetto nazista di Nuovo ordine europeo: incidenze politiche, nazionali, sociali, in Spostamenti di popolazione e deportazioni in Europa 1939-1945, a cura di R. Falcioni, Cappelli, Bologna 1987, pp. 7-42; Idem, La guerra nazista come guerra di sterminio e sfruttamento. Militari internati e prigionieri di guerra nella Germania nazista (1939-1945), a cura di N. Labanca, Le Lettere, Firenze 1992, pp. 3-42.

3 Cfr. Un percorso della memoria. Guida ai luoghi della violenza nazista e fascista in Italia, a cura di T. Matta, Electa, Milano 1996.

4 Cfr. A. Parisella, Resistenza e identità italiana nell’Italia repubblicana. Problemi storiografici e etico-civili, in Idem, Sopravvivere liberi, cit., pp. 111-134; più in generale, A. Baldassarre et al., Fascismo e antifascismo nell’Italia repubblicana, [a cura di N. Gallerano], Angeli, Milano 1986 (“Problemi del socialismo”, n. 7); La Resistenza tra storia e memoria, a cura di N. Gallerano, Mursia, Milano 1999. Tra le storie generali dell’Italia repubblicana, l’unica che dedica uno specifico spazio alla problematica qui affrontata è quella di E. Santarelli, Storia critica dell’Italia repubblicana, Feltrinelli, Milano 1995.

5 Cfr. A. Degli Espinosa, Il Regno del Sud, 8 settembre 1943-4 giugno 1944, Migliaresi, Roma 1946; G. Perticone, La Repubblica di Salò, Leonardo, Roma 1947.

6 Cfr. A. Tamaro, Due anni di storia 1943-1945, Tosi, Roma 1948.

7 Per tutti, anche per quelli di momenti successivi, si ricordano gli scritti del generale Giacomo Carboni, che sono almeno sette, dei quali si citano solo il primo, L’armistizio e la difesa di Roma. Verità e menzogne, De Luigi, Roma 1945, il più ampio, Memorie segrete 1935-1948, Parenti, Firenze 1955, e l’ultimo, La verità di un generale distratto sull’8 settembre. Un saggio di mezzi usati per trasformare l’eroica difesa di Roma nella “mancata” difesa di Roma, Eta, Roma 1966. Ma va ricordato che su questo aspetto, ben oltre i limiti di una commissione ministeriale d’inchiesta e alcune vicende giudiziarie, un chiarimento pressoché definitivo verrà solo grazie all’opera minuziosa di indagine e di ricostruzione compiuta da R. Zangrandi L’Italia tradita. 8 settembre 1943, Mursia, Milano 1971.

8 Cfr. R. Cadorna, La riscossa. Dal 25 luglio alla Liberazione, Rizzoli, Milano 1948; M. Caracciolo di Feroleto, Sette carceri di un generale, Corso, Roma 1947.

9 Si ricorda qui solo quello di F. Caruso, L’Arma dei Carabinieri a Roma durante l’occupazione tedesca (8 settembre 1943-4 giugno 1944), Istituto poligrafico dello Stato, Roma 1949, rinviando a un lungo elenco di memorie e pubblicazioni ufficiali che pressoché ogni corpo militare e di polizia ha prodotto e più volte riprodotto: molto spesso anche le pubblicazioni di molto tempo dopo si rifanno sostanzialmente a quelle dei primi tempi successivi alla Liberazione.

10 Cfr. Anche l’Italia ha vinto, numero speciale di “Mercurio”, Roma, dicembre 1944; E. Bacino, Roma prima e dopo, Atlantica, Milano 1944; A. Troisio, Roma sotto il terrore nazifascista (8 settembre 1943 – 4 giugno 1944), Mondini, Roma 1944; A. Benedetti, Un’estate crudele, Ministero dell’Italia occupata, Roma 1945; J. Di Benigno, Occasioni mancate. Roma in un diario segreto 1943-44, Sei, Roma 1945; P. Monelli, Roma 1943, Miglioresi, Roma 1945; C. Trabucco, La prigionia di Roma. Diario dei 268 giorni dell’occupazione tedesca, Ave, Roma 1945; Historicus [A. Consiglio], Nove mesi a Roma. Appunti per la storia, Opera nazionale casa e lavoro, Roma 1946; L. Morpurgo, Caccia all’uomo! Vita, sofferenze e beffe. Pagine di un diario 1938-1944, Dalmatia, Roma 1946; F. Ripa di Meana, Roma clandestina, Ramella, Torino 1946; F. Chilanti, Non piove a Roma, Milano Sera, Milano 1949.

11 Cfr. E. Dollmann, Roma nazista, Longanesi, Milano 1949; A. Kesselring, Memorie di guerra, Garzanti, Milano 1954.

12 Attività delle Bande settembre 1943-luglio 1944, Comando Raggruppamento bande partigiane Italia centrale, Roma 1945. La distruzione di Monte Cassino. Documenti e testimonianze, s.i.t., Montecassino 1950; ma la testimonianza più efficace, al riguardo, resta pur sempre quella dei monaci E. Grossetti e M. Matronola, Il bombardamento di Montecassino. Diario di guerra con altre testimonianze e documenti, a cura di F. Avagliano, Abbazia, Montecassino 1980.

14 Cfr. A. Tarchiani, Il mio diario di Anzio, Mondadori, Milano 1947; P. Levi Cavaglione, Guerriglia nei Castelli Romani, Einaudi, Torino 1945; G. De Mori, Nella tormenta. Rieti: città e diocesi 1943-1945, Rieti 1946.

15 Cfr. M. L. D’Autilia, M. De Nicolò, M. Galloro, Roma e il Lazio 1930-1950. Guida per le ricerche, Angeli, Milano 1995, passim.

16 Cfr. Giovani prima della rivolta, a cura di P. Ghione e M. Grispigni, Manifesto libri, Roma 1997 e P. Ghione, Il ’68 e la Resistenza, in La Resistenza fra storia e memoria, cit.

17 Cfr. R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Einaudi, Torino 1964; G. Bocca, Storia dell’Italia partigiana, Laterza, Bari 1966; R. Carli Ballola, La Resistenza armata, Edizioni del gallo, Milano 1965.

18 G. Pisanò, Storia della guerra civile in Italia, Edizioni Fpe, Milano 1965-66.

19 Cfr. R. Perrone Capano, La Resistenza in Roma, Migliaresi, Napoli 1964; E. Piscitelli, Storia della Resistenza romana, Laterza, Bari 1965; L. D’Agostini, R. Forti, 8 settembre 1943. Il sole è sorto a Roma, Anpi, Roma 1965; V. Tedesco, Il contributo di Roma e della Provincia nella lotta di liberazione, Amministrazione Provinciale, Roma [1967].

20 Cfr. Roma città aperta. I nove mesi della prigionia di Roma e della Resistenza romana, a cura di A. Ravaglioli, “Capitolium”, n. 6/1964; La Resistenza di Roma 1943-44, a cura di A. Ravaglioli e G. Caputo, Comitato per le celebrazioni del venticinquesimo della Resistenza, Roma 1970.

21 Cfr. Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, a cura di P. Blet, R. A. Graham, A. Martini, B. Schneider, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, 1965-1981.

22 G. Della Torre, Memorie, Mondadori, Milano 1967; A. Giovannetti, Il Vaticano e la guerra, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 1960; Idem, Roma città aperta, Ancora, Milano 1962.

23 E Venier, Il clero romano nella Resistenza, Colombo, Roma 1969.

24 F. D. Deakin, Storia della Repubblica sociale italiana, Einaudi Torino 1963; E. Collotti, L’amministrazione tedesca dell’Italia occupata, Lerici, Milano 1963; Forme e metodi dell’occupazione nazista in Italia, Atti del convegno nazionale, “Rassegna del Lazio”, numero speciale, Amministrazione provinciale, Roma 1964.

25 L. Bedeschi, La Sinistra cristiana e il dialogo con i comunisti, Guanda, Parma 1964; M. Cocchi, La sinistra cattolica e la Resistenza, Cei, Milano-Roma 1966; C. F. Casula, Il Movimento dei cattolici comunisti e la Resistenza romana, in “Il movimento di liberazione in Italia”, ottobre-dicembre 1973; Idem, I cattolici comunisti negli anni della Resistenza, in “Quaderni della Resistenza laziale”, n. 1, 1977, pp. 126-178; Idem, Cattolici-comunisti e sinistra cristiana, Il Mulino, Bologna 1976; F. Malgeri, La Sinistra cristiana (1937-1945), Morcelliana, Brescia 1982.

26 G. Genzius [Augusto Guzzo], Tormento e gloria. Verità alla ribalta, Guzzo, Firenze 1964; S. Corvisieri, Bandiera rossa nella Resistenza romana, Samonà e Savelli, Roma 1968.

27 L. Solari, I giovani di “Rivoluzione socialista”, Iepi, Roma 1964.

28 Cfr. A. Parisella, Note per una ricerca sui cristiano-sociali, in L. Bedeschi et al., I cristiani nella sinistra dalla Resistenza ad oggi, Coines, Roma 1976, pp. 76-108; E. Rosini, La sezione romana, in Gerardo Bruni e i cristiano-sociali, a cura di A. Parisella, Edizioni Lavoro, Roma 1984, pp. 177-190; F. Del Giudice, Il movimento e Partito cristiano-sociale a Roma (1939-1948), tesi di laurea in Scienze Politiche, Università La Sapienza, aa. 1982-83.

29 Cfr. S. Setta, Raggruppamenti monarchici (25 luglio 1943-2 giugno 1946), Fiap, Roma 1976; L. D’Angelo, Ceti medi e ricostruzione. Il Partito democratico del lavoro (1943-1948), Giuffré, Milano 1982.

30 Cfr. L’Italia nei quarantacinque giorni, [a cura di N. Gallerano e L. Ganapini], Insmli, Milano 1969; C. Dellavalle et al., Operai e contadini nella crisi italiana del 1943-44, Feltrinelli, Milano 1974; M. Ilardi, Primi risultati di una ricerca sulla situazione socio-economica nel Lazio e nell’Umbria (1943-1944), in “Quaderni Irsifar”, n. 2/1971, pp 212-230.

31 Resistenza e libertà nel Lazio, Regione Lazio, Roma 1979.

32 Comunque, per ciò che riguarda il reatino, si vedano gli scritti coevi di L. Canali, Quel punto di Luce (sul martirio di Leonessa), Vangelista, Milano 1977; E. Amatori, La Resistenza nel Reatino (1943-1944), Il Velino, Rieti 1983.

33 Cfr. G. Contini, Condizioni di vita e lotte operaie a Roma dopo la Resistenza, in “Quaderni della Resistenza Laziale”, n. 5, Regione Lazio, Roma 1978, pp. 7-120; G. Crainz, Il movimento contadino e l’occupazione delle terre dalla Liberazione alle lotte dell’autunno 1946, ivi, n. 4, pp. 7-72.

34 Cfr. A. Riccardi, La Chiesa a Roma durante la Resistenza. L’ospitalità negli ambienti ecclesiastici, in “Quaderni della Resistenza Laziale”, n. 2, pp. 87-150; Idem, Aspetti della vita sociale a Roma alla vigilia della caduta del fascismo, ivi, n. 7, pp. 131-160.

35 Cfr. B. Di Porto, La Resistenza nel Viterbese, in “Quaderni della Resistenza Laziale”, n. 3, pp. 7-213; G. Giammaria, Dati sulla Resistenza in Ciociaria, ivi, n. 8, pp. 7-140.

36 Cfr. M. Scardozzi, Civitavecchia tra Resistenza e dopoguerra, in “Quaderni della Resistenza Laziale”, n. 7, pp.7-130; Un paese del Viterbese tra la guerra e la Liberazione. Ricerche su Capranica, a cura di V. E. Giuntella, ivi, n. 6, pp. 169-218.

37 Cfr. L. La Penna, La Provincia di Latina dal 1940 al 1945, in “Quaderni della Resistenza Laziale”, n. 6, pp. 7-168.

38 G. Panimolle, La Resistenza nell’alta Val d’Aniene, Tip. Garroni, Roma 1966; P. G. Sottoriva, I giorni della guerra in provincia di Littoria, Cipes, Latina 1974; E. Caldarazzo da Montefusco, A Nord del Cielo di Anzio e di Nettuno, Comitato pro erigendo monumento ai caduti, Cisterna 1966; I. M. Laracca, Tra le rovine di Velletri (appunti di un anno di guerra), Tip. Scopel, Velletri 1964; A. Sacchetti Sassetti, Cronaca di Alatri durante l’occupazione tedesca 1943-1944, Istituto di storia e di arte del Lazio meridionale, Alatri 1969; L. Bandiera, 11+11. Episodi della Resistenza a Palestrina, Centro studi francescani, Roma 1974.

39 Cfr. A. Riccardi, Roma “città sacra”? Dalla Conciliazione all’operazione Sturzo, Vita e pensiero, Milano 1979; R. Zuccolini, L’opera di monsignor Adinolfi e di monsignor Facchini nelle diocesi di Anagni e Alatri durante la Seconda guerra mondiale, in “Orientamenti sociali”, n. 3/1981, pp. 43-83.

40 Cfr. L. Piccioni, San Lorenzo. Un quartiere popolare romano durante il fascismo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1982; Eadem, “il tipografo è una bestiaccia che non si assoggetta a nessuna disciplina”. Storia, memoria e immaginario dei tipografi romani (1926-1944), in T. Lombardo et al., Operai tipografi a Roma 1870- 1970, Angeli, Milano 1984, pp. 279-395.

41 Cfr. L’altro dopoguerra. Roma e il Sud 1944-45, a cura di N. Gallerano, prefazione di G. Quazza, introduzione di E. Forcella, Angeli, Milano 1985. Un campo di possibile sviluppo della ricerca, in tale prospettiva, appare quello del sovrappiù di violenza che caratterizza il dopoguerra, sia sotto la specie della violenza politica che sotto quella della violenza comune: cfr. G. Ranzato, Ambiguità della violenza politica: il linciaggio di Carretta, in La Resistenza tra storia e memoria, cit., pp. 194-207; A. Bistarelli, F. Lagorio, L’onda lunga della guerra. La violenza privata a Roma (1943-45), ivi, pp. 208-242.

42 Cfr. R. Bentivegna, Achtung banditen!, Mursia, Milano 1983; F. Calamandrei, La vita indivisibile. Diario 1941-1947, a cura di R. Bilenchi e O. Cecchi, Editori riuniti, Roma 1984.

43 Cfr. B. Pafi, B. Benvenuti, Roma in guerra. Immagini inedite settembre 1943-giugno 1944, Oberon, Roma 1984.

44 Guerra, Liberazione, dopoguerra in Ciociaria, a cura di G. Giammaria, L. Gulia, C. Jadecola, Amministrazione provinciale, Frosinone 1985.

45 Cfr. L. Musci, Il Lazio: regione definita, regione indefinibile, in Atlante storico-politico del Lazio, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 125-166.

46 Si vedano significative differenze in realtà vicine geograficamente ma distanti culturalmente, quali Cisterna di Latina e Borgo Podgora: Centoventisei giorni di ricordi. Storie, esperienze, drammi quotidiani vissuti nel 1944 dalla popolazione di Cisterna, [a cura di E. D’Andrea e P. Cucchi], Comune di Cisterna di Latina, 1990; 1944…e a Sessano venne a trovarci la guerra, Associazione culturale Sessano 50, Borgo Podgora (LT), 1996.

47 Cfr. A. Parisella, La “prima Resistenza” a Roma e nel Lazio, in “1943. Nasce la Resistenza”, a cura del Comune di Piombino, Aktis, Piombino 1993, pp. 137-144.

48 Cfr. Donne a Roma. Memorie di un’indomabile cura per la vita, a cura di S. Lunadei, Ed coop. Libera Stampa, Roma 1996; Donne e Resistenza nella Provincia di Roma. Testimonianze e documenti, a cura di S. Lunadei e L. Motti, Provincia di Roma, Roma 1999.

49 Cfr. A. D’Angelo, All’ombra di Roma. La diocesi tuscolana dal 1870 alla fine della Seconda guerra mondiale, Studium, Roma 1995; Idem, Le chiese del Lazio e la guerra. Linee di ricerca, in Cattolici, Chiesa, Resistenza nell’Italia centrale, a cura di B. Bocchini Camaiani e M. C. Giuntella, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 389-412.

50 Cfr. F. Chabod, L’Italia contemporanea 1918-1948, Einaudi, Torino 1961.

51 Cfr. R. P. Violi, Religiosità e identità collettive. I santuari del Sud tra fascismo, guerra e democrazia, Studium, Roma 1996, ma anche F. Malgeri, La Chiesa italiana e la guerra (1940-45), Studium, Roma 1980.

52 E. Forcella, La Resistenza in convento, Einaudi, Torino 1999; ma dello stesso si ricordi anche Celebrazione di un trentennio, Mondadori, Milano 1974, nel quale il libro di oggi veniva in qualche modo annunciato.

53 Cfr. M. Avagliano, G. Le Moli, Muoio innocente. Lettere di caduti della Resistenza a Roma, Mursia, Milano 1999.

54 Cfr. A Parisella, La lotta non armata nella Resistenza, in Idem, Sopravvivere liberi, cit., pp. 59-87.

Articolo da DOCUMENTI DELLA RESISTENZA A ROMA E NEL LAZIO (Dorer), Biblink editori, Roma 2001

Back To Top