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Le Fraschette di Alatri, un campo d’internamento per civili.

 

di Augusto Pompeo

 

 

Eugenio Parrini

Il 1° maggio 1943 nel campo d’internamento allestito nella località Le Fraschette a quattro chilometri da Alatri, le donne jugoslave internate si presentarono alla “conta” del mattino con dei nastrini rossi fra i capelli suscitando l’ira del comandante del campo che ordinò il loro trasferimento nel campo di Ferramonti in Calabria. L’episodio è così riportato nella consueta relazione del questore di Frosinone per il capo della Polizia del 24 dello stesso mese:

La situazione politico-economica della Provincia di Frosinone relativa ai mesi di maggio e giugno c.a., nonostante le vicende belliche del momento, si mantiene, nel complesso, soddisfacente. […] Infine, l’episodio di alcune internate che nel Campo di Concentramento “Le Fraschette”, in occasione del 1° maggio, si misero tra i capelli dei nastrini rossi, non tocca minimamente la fede di questa popolazione.

A seguito dell’entrata nel secondo conflitto mondiale le autorità italiane allestirono in tutte le regioni campi per custodire i prigionieri di guerra catturati. A questi si aggiunsero campi di internamento destinati a ospitare civili appartenenti a nazioni considerate ostili. Con l’invasione della Jugoslavia molti campi per civili anche provvisori (costituiti per lo più da tende e baracche in legno) furono istituiti nelle zone occupate, in Veneto e in Venezia Giulia (in questo caso destinati anche a cittadini italiani di lingua slovena e croata, i cosiddetti “alloglotti”). Il numero degli “internandi” era così elevato che le autorità faticarono a predisporre le strutture necessarie come attestano i telegrammi pervenuti alla Direzione generale della PS dai prefetti della Venezia Giulia:

5.4.41 da Gorizia: Arrestati 200 elementi; le carceri possono accogliere solo 40. 5.4.41 da Pola: Arrestati 31 sospetti, 30 jugoslavi, 34 alloglotti. 4.4.41 da Trieste: Arrestate 150 persone sospette e 100 «slavofili». In attesa di fermo altri 1500 slavofili. 31.3.41 da Trieste: È necessario sfollare 2000 fra jugoslavi, alloglotti, greci, ebrei.

Con l’arrivo sempre più massiccio di interi nuclei familiari dalle zone occupate dell’ormai ex Jugoslavia le autorità decisero di distribuire i civili nei tanti campi allestiti nella penisola: fra questi Le Fraschette. La costruzione e l’allestimento del campo delle Fraschette fu affidato nel 1941 al livornese Eugenio Parrini (1889 – 1978), imprenditore molto vicino al Ministero dell’interno e amico di Galeazzo Ciano che realizzò nello stesso periodo altri campi soprattutto nell’Italia centrale e meridionale. Il campo entrò in funzione il 1º ottobre 1942 e rimase attivo fino al 19 aprile 1944. Benché progettato per ospitare prigionieri di guerra, finì per diventare luogo di internamento di civili appartenenti a nazioni in guerra con l’Italia. Inizialmente accolse 780 maltesi di nazionalità britannica provenienti da Tripoli, poi, prima della fine del 1942 giunsero dall’isola di Meleda, in Dalmazia, oltre 2 300 persone. All’inizio del 1943 si toccarono le 5 500 unità con l’aggiunta di croati, montenegrini, albanesi ed ebrei italiani ancora provenienti da Tripoli. Rispetto agli altri campi amministrati dal Ministero dell’interno, quello di Fraschette era sottoposto alla Direzione generale servizi di guerra, mentre alla Direzione generale di Pubblica Sicurezza furono affidati soltanto i compiti «di sicurezza». Le condizioni di vita degli internati erano difficili: per il sovraffollamento, per la fragilità della struttura costruita in grande fretta e costituita da umide e fredde baracche in legno, per le precarie condizioni igieniche a causa della rete fognaria pressoché inesistente, delle latrine insufficienti e lontane dalle baracche e dell’assistenza medica insufficiente. Inoltre agli internati non era concesso alcun sussidio in denaro. I maltesi, riconosciuti come «sudditi nemici», godettero delle garanzie della Convenzione di Ginevra e degli aiuti forniti dal governo britannico, ma gli altri gruppi dovettero affrontare pressoché da soli le numerose difficoltà, su tutte la fame per la penuria di cibo. E la mortalità risultò alta per un campo d’internamento: nei primi mesi del 1943 morirono 37 persone in maggioranza vecchi e bambini al di sotto dei dodici anni. Anche le autorità civili e militari che gestivano le 174 baracche si macchiarono di furti e abusi sugli internati. Esistono però anche testimonianze positive sul comportamento dei poliziotti italiani, ad esempio quella di un maltese tripolino. Data la situazione di evidente disagio, a sostegno degli internati intervennero soprattutto il vescovo di Alatri, monsignor Edoardo Facchini, e un gruppo di suore Giuseppine del monastero di Veroli a cui si aggiunse il personale interessamento di papa Pio XII nei confronti dei 400 bambini reclusi. Dopo la caduta di Mussolini, la situazione generale del campo rimase immutata e nei giorni seguenti l’armistizio, fuggiti gli agenti e i carabinieri addetti alla vigilanza, il campo si ritrovò nella confusione e nell’abbandono più totale ma quasi tutti gli internati rimasti, non avendo un luogo preciso dove andare, non abbandonarono le baracche. Gli occupanti tedeschi, al loro sopraggiungere nella zona, dimostrarono scarso interesse per la struttura che fu abbandonata fra  gennaio e aprile del 1944. Dopo la fine del conflitto il campo fu riattivato e utilizzato per ospitare i profughi italiani espulsi dal Nord Africa (Egitto, Tunisia e Libia). Nel dopoguerra Eugenio Parrini fondò a Roma l’impresa di costruzioni E. Parrini e C., che realizzò numerose opere pubbliche in diverse regioni, soprattutto in Italia meridionale. Con la società Egida, invece, partecipò alla realizzazione di diverse linee ferroviarie e si occupò della ricostruzione di edifici distrutti durante le vicende belliche. Divenne poi sindaco di Rocca Priora.

Riferimenti archivistici e bibliografici

La relazione della Questura di Frosinone per il capo della Polizia del maggio 1943 si trova in ACS, MI DGPS AGR (1940-1945), b. 3 (in IRSIFAR, Resistenza, fondo Ilardi – Natale, sez. III). Per i telegrammi del 1941 cfr ACS, MI, Dgps, Agr, ctg A5g II gm, b. 49, fasc. «Fiume»e ACS, MI, Dgps, Agr, ctg A5g II gm, b. 63, fasc. «Venezia Giulia». Sul campo di Le Fraschette cfr Vincenzo Cerceo, Cronaca di un’infamia. “Le Fraschette” dì Alatri, campo di internamento per slavi, Dossier di « La Nuova Alabarda», Trieste 2003. Sui campi italiani in genere, compreso Le Fraschette cfr. Carlo Spartaco Capogreco, I campi del duce/L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943) Einaudi 2004.

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