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Don Giuseppe Morosini. Un sacerdote nella Resistenza romana

Giuseppe Morosini, nato a Ferentino il 19 marzo 1913 e ucciso a Roma il 3 aprile 1944 a Forte Bravetta, incarna perfettamente la figura del sacerdote che, mosso da una fede incrollabile e da un profondo senso di giustizia, riuscì a combinare con grande coraggio la sua missione spirituale con un impegno attivo e concreto nella Resistenza romana. La sua esistenza, sebbene breve, fu straordinariamente ricca e intensa, dedicata interamente al servizio religioso, all’aiuto degli sfollati e a operazioni estremamente rischiose per sostenere i gruppi partigiani, come il trasporto e la gestione di armi ed esplosivi. Questo straordinario sforzo e il suo coraggioso contributo alla lotta contro l’occupazione nazista lo hanno innalzato alla condizione di eroe nazionale, simbolo e testimone di un’Italia capace di offrire esempi luminosi di sacrificio, abnegazione e dedizione alla causa della libertà, nonostante le profonde devastazioni e divisioni causate dalla guerra. Morosini intraprese sin dalla giovane età il cammino sacerdotale, entrando a far parte della Congregazione della Missione e venendo consacrato presbitero nel 1937. Destinato inizialmente al ruolo di cappellano militare, prima a Laurana nel 1941 (all’epoca collocata in provincia di Fiume) e in seguito a Roma nel 1943, il suo ministero si è sempre contraddistinto per l’attenzione sincera e costante verso i più deboli e bisognosi. A Roma, in particolare, si dedicò con straordinaria dedizione ai ragazzi sfollati che trovavano rifugio presso la scuola elementare Ermenegildo Pistelli, garantendo loro assistenza materiale e conforto spirituale in mezzo alle immani difficoltà del periodo.

L’armistizio dell’8 settembre 1943 rappresentò per Morosini una svolta cruciale e decisiva poiché segnò la fine dell’alleanza tra Regno d’Italia e Germania Nazista, portando di fatto all’occupazione tedesca e alla nascita della Repubblica Sociale Italiana. In questo contesto così drammatico e pericoloso, Morosini prese la coraggiosa decisione di unirsi attivamente alla Resistenza romana. La sua scelta non si limitò al solo ruolo di assistente spirituale per coloro che combattevano, ma lo vide impegnato in azioni tangibilmente rischiose e concrete. Tra queste attività, si occupò personalmente di recuperare e distribuire armi e generi di conforto, elementi essenziali per il proseguimento e la sopravvivenza delle formazioni partigiane, e si adoperò per creare rifugi sicuri dove i patrioti ricercati potessero trovare temporanea salvezza.Dimostrando notevole intelligenza strategica e coraggio, Morosini riuscì ad agganciare, sfruttando contatti già esistenti con la Resistenza romana, la celebre “banda Fulvi”, guidata dal tenente Fulvio Mosconi. Questo gruppo era attivo nella zona di Monte Mario e legato al Fronte Militare Clandestino, sotto la guida del valoroso Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. Tramite un misto di astuzia e temerarietà, Morosini seppe guadagnarsi la fiducia di un ufficiale della Wehrmacht di stanza sul Monte Soratte, il quale, completamente ignaro del vero ruolo di Morosini, gli fornì informazioni vitali sul piano delle forze tedesche nella cruciale area del fronte di Cassino. Questo gesto di straordinario ingegno e di coraggiosa determinazione segnò però il suo destino, rendendolo bersaglio della crudele macchina repressiva tedesca. Delatori come Dante Bruna, infiltrati dalla Gestapo tra i partigiani di Monte Mario, portarono infine al suo arresto.

Il 4 gennaio 1944 Morosini fu catturato insieme all’amico fidato, Marcello Bucchi, mentre si recavano al Collegio Leoniano. Da quell’istante cominciò per Morosini un incubo fatto di detenzione e torture, prima nel temibile carcere di Regina Coeli, dove egli fu rinchiuso nella famigerata cella n. 382. Le imputazioni mosse contro di lui erano pesantissime: si parlava di aver fornito agli Alleati mappe dettagliate sul settore difensivo tedesco nei pressi di Cassino, possesso di armi, incluse pistole, ed esplosivi nascosti nello scantinato del Collegio stessa. Nel corso della dura prigionia, Morosini affrontò ogni sofferenza con straordinaria forza d’animo e incrollabile fede. Tra le vicissitudini del carcere riuscì perfino a stringere amicizia con Epimenio Liberi, un altro giovane combattente della Resistenza, anch’egli detenuto nello stesso luogo. Uno degli episodi più commoventi che ne testimoniano l’umanità e la profondità spirituale fu la composizione di una dolcissima “Ninna Nanna per Soprano e Pianoforte”, dedicata al figlio che Epimenio non avrebbe mai avuto la gioia di conoscere, essendo stato poi tragicamente assassinato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. (Una copia è visibile al Museo storico della Liberazione in Roma).

Quest’uomo straordinario dimostrò fino alla fine una fermezza che impressionò profondamente chi lo conobbe. Le torture e le pressioni psicologiche dei suoi aguzzini non riuscirono mai a piegarlo né a strappargli informazioni utili a compromettere i compagni partigiani; Morosini assunse su di sé tutte le responsabilità, proteggendo ad ogni costo i suoi ideali e la lotta per la libertà. Condannato a morte da un tribunale tedesco il 22 febbraio 1944, fu condotto al Forte Bravetta dove, nonostante molteplici tentativi diplomatici del Vaticano volti a ottenere la sua grazia, venne brutalmente giustiziato il 3 aprile 1944.Quel fatidico giorno rimane straordinariamente carico di significato nella memoria collettiva italiana. Affrontò la morte con serenità, accompagnato dal vescovo Luigi Traglia, che lo aveva ordinato sacerdote. Stando a toccanti testimonianze oculari, diversi soldati del plotone d’esecuzione avrebbero deliberatamente mirato in aria, rifiutandosi di colpire Morosini. Tuttavia, egli rimase mortalmente ferito e venne freddato definitivamente con due colpi di pistola alla nuca dall’ufficiale fascista che sovrintendeva all’esecuzione. La figura di Giuseppe Morosini è rimasta indelebile nelle testimonianze, come quella di Sandro Pertini, allora detenuto a Regina Coeli. Pertini, futuro presidente dell’Italia, lo ricorda come un uomo di straordinaria fede, descrivendo l’incontro con un sacerdote vistosamente ferito e sanguinante dopo un brutale interrogatorio delle SS ma capace di sorridere nonostante il dolore, irradiando dignità e amore cristiano. Quale ulteriore testimonianza del suo spirito, si narra che Morosini, prima di morire, abbia benedetto il plotone recitando le stesse parole di Cristo sul Golgota: “Dio, perdona loro: non sanno quello che fanno”.

Giuseppe Morosini occupa nel cuore dell’Italia un posto speciale, rappresentando il perfetto esempio di resistenza spirituale e materiale alle oppressioni dell’occupazione nazista. La sua esemplare esistenza lo ha reso un simbolo imperituro di speranza, solidarietà e riscatto. La concessione postuma della Medaglia d’Oro al Valor Militare il 15 febbraio 1945 testimonia il profondo riconoscimento della nazione per il suo eroismo e il suo contributo nella liberazione del Paese. L’eredità lasciata da Morosini continua a ispirare generazioni intere e la sua storia, intrisa di messaggi di pace e fraternità, rappresenta un monito potente contro l’odio e la barbarie. La commovente “Ninna Nanna”, che concepì in carcere per il figlio mai nato dell’amico Liberi, eternizza il suo messaggio di amore nel buio di quel contesto storico.

Medaglia d’Oro al Valor Militare

«Sacerdote di alti sensi patriottici, svolgeva, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, opera di ardente apostolato fra i militari sbandati, attraendoli nella banda di cui era cappellano. Assolveva delicate missioni segrete, provvedendo altresì all’acquisto ed alla custodia di armi. Denunciato ed arrestato, nel corso di lunghi estenuanti interrogatori respingeva con fierezza le lusinghe e le minacce dirette a fargli rivelare i segreti della resistenza. Celebrato con calma sublime il divino sacrificio, offriva il giovane petto alla morte. Luminosa figura di soldato di Cristo e della Patria.»
— Roma, 8 settembre 1943 -3 aprile 1944.

Don Giuseppe Morosini, in Donne e Uomini della Resistenza, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.

Morosini Giuseppe, in Dizionario di storia,  in Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2010

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